Il ciliegino è stato un’autentica rivoluzione nella produzione, commercializzazione e nel consumo del pomodoro in serra. Qual è la vera storia?
La storia del pomodoro ciliegino è una perfetta armonia di passione, amore per il proprio lavoro, rapporti umani e successo imprenditoriale. Nel 1986, la società Comes S.p.A. (Gruppo Rendo-Italimprese), di cui ero Amministratore Unico, per rilanciare l’importanza della soia, stipulò un contratto con Hazera, società israeliana che produceva sementi di diverse specie di pomodori, tra cui quella del ciliegino. Entrai così in contatto con Eytan Kachel, direttore commerciale della più grande società sementiera israeliana, la Hazera Quality Seed. Eytan mi portò a visitare una serra dell’Università di Gerusalemme, dove erano in prova centinaia di varietà che a me sembrarono tutte uguali, ma che così non era. Fu lì che mi rivelò la sua idea di coltivare e vendere i pomodori rossi “a grappolo”. Mi presentò un grappolo di pomodoro con sei o sette frutti di colore rosso acceso. I frutti erano carnosi e la polpa molto consistente. Mi mostrò anche un grappolo composto da tanti piccoli pomodori tondi, rossi e dolci, che chiamava genericamente “cherry” (“ciliegia”).
Nulla di tutto ciò esisteva ancora in Italia, dove la più alta concentrazione di serre si trovava in Sicilia, principalmente nel territorio del comune di Vittoria con 2.500 ettari circa.Il pomodoro rosso veniva utilizzato solamente nei mercati locali, dal momento che, a pochi giorni dalla raccolta, i frutti si deterioravano. La destinazione obbligata era quella della cottura per farne salse. Le rese erano basse, la qualità dei frutti scadente e gli utili decisamente modesti.Questa nuova varietà sarebbe stata una rivoluzione.
Occorreva trasformare l’idea di Kachel in un progetto concreto. L’impresa era ardua, di difficile attuazione e che richiedeva attente pianificazioni e importanti investimenti, ma ci ho creduto dal primo istante.Per far partire il progetto, il 17 ottobre 1986, Hazera concesse alla mia società l’esclusiva per tutta Italia di tutte le specie e varietà. In Italia arrivarono dunque due nuove varietà di pomodori, non riproducibili e capaci di dare alte e pregiate produzioni. I costi di raccolto si sarebbero notevolmente ridotti e grazie a due specifici geni, la “lunga vita” del prodotto era assicurata. Un’autentica rivoluzione che avrebbe consentito alla Sicilia e ad altre regioni del Meridione di esportare pomodori in tutta Italia e Europa. Cosa fino ad allora impossibile.
Registrammo quelle due varietà nel catalogo nazionale ed europeo dandogli i nomi di “Rita” (il pomodoro rosso a grappolo) e di “Naomi” (il ciliegino).
I primi prodotti cominciarono ad arrivare nei supermercati e, nel giro di due anni, l’idea del “grappolo” si rivelò vincente. I grappoli erano belli da vedere e i frutti dolcissimi. Quelle varietà si imposero rapidamente all’attenzione dei produttori, dei consumatori e dell’intera catena commerciale, grazie alle loro caratteristiche organolettiche, per le alte rese e per gli alti prezzi che il mercato era disposto a pagare.
Dal 1989 queste varietà stravolsero il concetto di produzione in serra. Fu allora che cominciarono ad aumentare tumultuosamente le superfici investite a serre. Aumentarono fatturati e utili per l’intera filiera (vivaisti, produttori, commercianti). L’arrivo di queste due varietà risollevò l’economia agricola, non solo in Sicilia ma anche di regioni come Puglia, Campania, Basilicata, Lazio, Calabria, Sardegna, Emilia e Veneto.
La richiesta dei consumatori e di conseguenza delle GDO aumentò vertiginosamente. Continuò inarrestabile la corsa all'”Oro rosso”, come lo chiamarono i giornali. La scossa di questa varietà fece si che si creassero nuovi posti di lavoro. Le superfici investite a serre conobbero una notevolissima espansione. Migliaia di produttori ammodernarono le loro serre, indirizzando le loro aziende alla coltivazione di queste varietà. Nacquero nuovi centri di lavorazione e di commercializzazione dei pomodori, nuove cooperative e anche nuove associazioni di produttori: un mondo in subbuglio.
Inoltre, i pomodori dovevano essere trasportati in molti Paesi europei. Nacquero così nuove società di trasporti e quelle esistenti si ingrandirono. Un autentico boom. Migliorò il tenore di vita di intere regioni come Campania, Lazio, Puglia e Sicilia. L’occupazione nel meridione, sempre bassa rispetto al nord, crebbe a dismisura.
Oggi il pomodoro Pachino è conosciuto in tutta Europa. Una storia che ha innegabilmente dato un grande contributo alla crescita economica, agricola e culturale del nostro Paese.
Ha registrato le due nuove varietà di pomodori con i nomi di “Rita” e di “Naomi”. Perché oggi si chiama semplicemente Pachino?
Il “Naomi” coltivato a Pachino aveva una marcia in più rispetto a quello coltivato in altre zone della Sicilia. L’acqua utilizzata a Pachino per l’irrigazione conteneva una più alta salinità che esaltava le caratteristiche organolettiche del ciliegino. In parole povere, il “Naomi” coltivato a Pachino era più dolce di quello coltivato nelle altre zone d’Italia. Il pomodoro di Pachino ottenne l’IGP (Indicazione Geografica Protetta).
Che cosa significa essere imprenditore agricolo in Italia?
Significa essere eroi. Perché è quotidiano lo scontro con le realtà agricole di Paesi dove i costi di produzione sono più bassi, dove le identità aziendali sono molto diverse dalle nostre. La nostra agricoltura è notevolmente limitata: superfici modeste, meccanizzazioni non adeguate. L’agricoltura è appesantita da ostacoli legislativi e da concorrenze estere troppo spesso sleali. Se l’agricoltura in Italia è complessa, nel meridione lo è ancora di più.
Qual è il rapporto con i nuovi grandi mercati, di consumatori e produttori?
Siamo stati molto combattuti per 20 anni dalle multinazionali per la supremazia del mercato italiano, e successivamente boicottati perché intrattenevamo rapporti con una società israeliana, Paese mal visto in Italia.
Per i primi anni l’unica varietà di pomodori presenti sui mercati, italiani ed esteri, era la nostra. Ma alla fine le grandi multinazionali riuscirono a entrare prepotentemente sul mercato, offrendo varietà decisamente inferiori alle nostre per qualità, ma a prezzi più contenuti, e questo ci ha penalizzato.
Pomodoro ciliegino, chi ha interesse nell’investimento?
Tutti hanno interesse a investire nel ciliegino, dall’azienda che produce il seme ai vivaisti, dai produttori ai commercianti, fino alle grandi distribuzioni organizzate. Sicuramente rispetto al passato i piccoli produttori sono quelli che soffrono di più, viceversa i grandi produttori e commercianti sono i padroni del mercato, e continuano a investire. La crescita del settore non è esponenziale ma continua, malgrado la concorrenza sleale di altri Paesi produttori.
Marketing e comunicazione, quanto hanno influito?
Marketing e comunicazione hanno svolto un ruolo fondamentale, dai meeting alle schede tecniche per i produttori, dai gadget a dépliant di ogni tipo, dai cartelloni pubblicitari, alle sponsorizzazioni legate al territorio.
Sponsorizzammo diverse società sportive (tra cui la squadra del Vittoria, promossa in Serie C1) e la gara automobilistica “Targa Florio” (la più antica corsa del mondo).
I nostri convegni annuali diventarono un punto di riferimento importante, per tutti gli operatori del settore.
L’arma vincente è stata però la pubblicità televisiva, inaspettata e gratuita! Le principali marche produttrici di prodotti alimentari, iniziarono a presentare i loro prodotti accompagnati dai nostri pomodorini, perché belli da vedere e rappresentativi di ciò che è buono, sano e italiano. Il ciliegino è così entrato nelle case delle famiglie italiane.
Chi è oggi Franco Schilirò?
Oggi non lavoro più, sono in pensione con una grande missione: divulgare il più possibile la storia del ciliegino, nessuno sa cosa c’è dietro.