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Redazione

07/05/2020

Maniche di Camicia – Toni Capuozzo

Intervista a Toni Capuozzo, Giornalista, Scrittore e Blogger italiano

Il terzo ospite di “Maniche di Camicia” è Toni Capuozzo, uno dei reporter più influenti d’Italia che ci ha accompagnato per decenni con professionalità e narrazione eccellenti.

Toni sei stato uno straordinario testimone delle crisi nei conflitti internazionali, dei fatti di casa nostra e di tutto il mondo, sino all’attuale emergenza Coronavirus. Come funziona la comunicazione in tempi di Covid-19?

Ogni storia ha sue caratteristiche che la rendono unica: un confitto, una catastrofe, una guerra civile e ho sempre cercato di raccontare, da spettatore coinvolto, la realtà. Sei comunque una parte terza in ciò che sta accadendo.

Il Coronavirus è qualcosa che cerco di raccontare attraverso il mio blog ma che riguarda tutti noi in prima persona. Di questi tempi, credo sia più difficile farlo direttamente sul campo perché c’è il rischio di contrarre il virus, specialmente alla mia età. È molto più difficile raccontare una cosa di cui non sei spettatore ma parte in causa.

Quanto c’è, delle guerre che hai vissuto, in questa emergenza?

Ci sono diverse somiglianze: nelle guerre c’è una ferocia difficile da descrivere ma, paradossalmente, il nemico è visibile; il problema di questo virus, invece, è il fatto che sia invisibile, viscido, non capisci dove o come possa attaccarti.

Tutti i paesi ne sono coinvolti, è un problema globale e questo ha fatto scattare meccanismi di egoismo, non possiamo dimenticarci delle mascherine bloccate al confine o di chi ha tenuto i respiratori per sé. Nelle guerre, invece, c’è una solidarietà internazionale di chi sta bene verso chi sta soffrendo.

Qui, tutti hanno parlato di modello Italia ma nessuno ha preso sul serio l’emergenza. Ognuno sta pensando a salvare la propria pelle e la propria borsa, non ho visto solidarietà, se non in un primo momento, sono corsi tutti subito ai ripari dimenticandosi del prossimo.

Che differenza c’è tra Vivere e Testimoniare una storia? Tra il tempo del qui e ora e il tempo della narrazione? Quante volte ti sei sentito immerso e quante ti sei sentito testimone?

Per carattere mi sono sempre sentito immerso nella storia, la parola testimone ha qualcosa di molto importante al suo interno. Il cronista prova a raccontare ciò che riesce a capire e quello che riesce a vedere.

La maggior parte delle volte non cambia la vita delle persone, non salva vite e non è un contributo per la pace. È come se fossimo dei messaggi in bottiglia dove tutti ricordano la forma piuttosto che il contenuto.

Cosa hanno capito gli italiani di questa storia?

Credo e spero che abbiano capito che in certi momenti la lotta politica andrebbe sospesa.

Da friulano, dopo il terremoto, tutti i partiti collaborarono per superare quell’emergenza. In quel momento si lavorò per i cittadini e non per meri interessi politici.

In generale, ci siamo scoperti più disciplinati e più intelligenti di quanto pensassimo, anche se spesso ci dicono che siamo un popolo approssimativo, molle e facilone. Ci siamo resi conto di avere una grande forza come quella dei medici o degli infermieri, ovviamente in misura diversa. È come se sfuggissimo alla costante chiamata alle armi, tuttavia, nel momento decisivo, piuttosto che tradire i compagni, ci sacrificheremmo per loro.

È sembrato che l’Italia abbia sofferto, sul fronte internazionale, in termini di reputazione, per la gestione frettolosa e confusa delle istituzioni prive di una vera strategia di comunicazione. Non pensi che questa sofferenza sul piano internazionale ci abbia creato più danno del dovuto? Forse dovremmo comunicare meglio il nostro orgoglio italiano?

La comunicazione è una materia delicatissima, persino più della virologia per la quale siamo diventati tutti esperti “fai-da-te”. Qualsiasi cosa tu faccia, se non la sai comunicare è quasi come se non avessi fatta.

Semplicemente, l’Italia ha comunicato male con sé stessa. Basti pensare allo Stato di Emergenza pubblicato in Gazzetta Ufficiale a fine gennaio, tant’è che si sono, comunque, tenute aperte attività e si sono affollati i luoghi più disparati.

Spesso alla politica piace dire: siamo stati un modello. Sicuramente, in questo caso, un modello negativo. Certo, abbiamo affrontato qualcosa di sconosciuto ma tutti, nell’immaginario collettivo, ci hanno additati come poco affidabili, i soliti italiani insomma.

Così, sottovalutando la cosa, i francesi hanno fatto le feste vestiti da puffi, gli spagnoli hanno riempito le Ramblas a Barcellona e noi, intanto, abbiamo riempito tutte le terapie intensive.

Adesso, dobbiamo resistere alla tentazione di dire, in modo grottesco e cattivo, ora tocca anche a voi. Con quella sottile perfidia di chi deve prendersi qualche rivincita. Mi sarei accontentato che fosse stato un problema solo nostro.

Inevitabilmente, in vetrina, siamo il paese del sole, del mangiar bene, dei chilometri di costa, della fantasia, della moda, dell’eleganza e dell’arte, ma nessuno ci ha mai guardato come il paese dell’acciaio o delle belle auto, ci equiparano ad una figura simpatica e guascona. Credo che, per come stiamo affrontando la situazione, ci meritiamo di essere considerati più seri di quanto, certe volte, ci capiti.

Settimana scorsa abbiamo avuto come ospite Magdi Allam che ha fatto un’affermazione piuttosto forte: il governo ha rinunciato a governare e ha ceduto il passo all’autorità sanitaria. Tu cosa pensi a riguardo?

Il problema è che chi ha responsabilità di governo non può scegliersi come alibi la scienza, perché è un virus nuovo e lo stiamo studiando a lavori in corso, tant’è che non vi è certezza nelle comunicazioni a riguardo.

Poi è chiaro a tutti come ci siano invidie tra gli scienziati stessi che non fanno piacere. Ilaria Capua, per esempio, è stata cacciata dall’Italia perché additata di tentata epidemia e commercio di virus e ora si trova esule negli Stati Uniti dove dirige un’importante azienda. Tuttavia, dopo quello che è successo, non vedo scienziati che hanno firmato appelli a suo favore.

È chiaro come ci siano scuole di pensiero diverse e molti prestigi da difendere, ma è un disordine che si deve limitare all’aspetto puramente scientifico. Invece, un governo deve prendere decisioni politiche, può anche avvalersi del parere degli esperti, considerati come la voce della verità.

Per esperienza, posso dire che non credo che, durante un’emergenza, faccia bene criticare ogni volta il governo. Si capisce che anche loro si trovano di fronte ad una la situazione che non hanno mai affrontato, basta ricordarsi che nacque per evitare le elezioni, figurarsi per affrontare una pandemia. È come se una riserva che in campionato non ha mai giocato si ritrova di colpo ad essere titolare nella finale di Champions.

Io sono dell’opinione che l’opposizione debba fare il suo mestiere, è giusto che lo faccia, però ci vorrebbe che tutti fossimo più coesi ed uniti con un unico obiettivo, cavarcela. La gente non è stupida.

A Bergamo, una delle città più martoriate, l’emergenza si è spostata dagli ospedali, al territorio e alla comunità. Tu hai accettato, con grande generosità di essere testimonial della campagna #SosteniAMOBergamo, siamo tutti bergamaschi. Cosa ti ha spinto ad accettare questa proposta e perché è importante che un volto come il tuo si presti alla solidarietà? Perché è importante che l’informazione diventi solidarietà?

È facile capire il sentimento che mi abbia spinto ad accettare. Sicuramente l’intensità della tragedia dove si stava consumando un qualcosa la cui portata forse sfuggiva al resto del Paese. Poi, mi sembra facile intuire come ci sia parecchia affinità tra friulani, miei concittadini, e bergamaschi.

Anni fa mi feci promotore di una sottoscrizione che ebbe grande successo dopo un’alluvione nella zona carnica e in Valcanale. I bergamaschi si rimboccano le maniche e lavorano, in silenzio, con orgogliosa caparbietà che li induce a fare tutto senza clamori. Ci deve spingere, a prescindere, a dare una mano.

Io vivo a Milano e se l’emergenza dovesse prendere piede anche qua sarebbe una tragedia enorme. Mi sono sentito in dovere, vista la vicinanza e le amicizie che ho a Bergamo, di farmi promotore anche di questa iniziativa.

Molti hanno convertito le produzioni aziendali, altri hanno donato fondi per i presidi medici, tuttavia, la linea non si sta placando. Questa raccolta fondi ha voluto essere una raccolta della gente e per la gente. Attraverso le donazioni, anche i gesti più piccoli, possono fare la differenza. Volevamo ringraziarti per aver preso parte al nostro progetto.

Vorrei aggiungere che questo è un rapporto reciproco, cerchiamo di essere solidali con i bergamaschi però c’è qualcosa che possiamo imparare e ricevere come messaggio di ritorno ed è proprio il concetto del lavorare. Ne usciamo male se pensiamo ad aiutare solo con i buoni per le famiglie, con i buoni una tantum o con la riapertura delle librerie. La gente non ha bisogno dell’elemosina ma di posti di lavoro e la dignità non è qualcosa che ti danno per rimanere a casa, è guadagnarsi il proprio salario ogni mese, ci ricordiamo tutti la prima volta che abbiamo guadagnato del denaro, perché lì abbiamo imparato che valevamo qualcosa.

Riapriamo le produzioni con i giusti accorgimenti e le giuste precauzione. Permettiamo alle persone di uscire di casa a testa alta e non con spiccioli a fondo perduto, non bisogna regalare la scatoletta di tonno ma la canna per poter pescare.

Tu hai scritto un libro: “Le guerre spiegate ai ragazzi”, cosa racconteremo ai nostri figli? Come spiegheremo loro come ripartire dopo questa situazione? Anche qui c’è, in qualche modo, un termine di restituzione reciproca?

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Può sembrare strano visto che ho fatto il giornalista e ho scritto dei libri, ma le parole valgono fino ad un certo punto, sono i fatti a formarti.

Se dovessimo guardare ai nostri padri, non furono le loro prediche ad averci formato ma le loro azioni nel quotidiano, questo perché i fatti e gli esempi sono quelli che contano, a maggior ragione nella testa di un ragazzo.Questa prova per i ragazzi è come se fosse stato un diploma senza esami, hanno dovuto affrontare una situazione difficile.

Quelli della mia generazione sono diventati uomini facendo la naja e, in egual modo, spero che questa emergenza sia servita loro come strumento di ulteriore maturazione.

È un avvenimento storico che segnerà sicuramente le loro vite.

Cosa pensi della riapertura delle scuole a settembre?

È chiaro che se pensassimo solo di tornare al lavoro e non al problema delle scuole, lasceremmo le famiglie in grave difficoltà per la mancanza di luoghi dove lasciare i figli. A questo punto tanto vale riaprire anche quelle.

Come logica, bisogna essere spietati perché fortunatamente i bambini si sono rilevati quasi immuni o asintomatici con difese immunitarie fortissime. Quindi, dobbiamo fare delle considerazioni per fascia d’età e non per settori merceologici, valutando piuttosto gli eventuali rischi per maestri ed insegnanti. A differenza delle librerie, che non considero attività essenziali, un settore che credo debba ripartire è quello dell’edilizia.

Se corriamo dietro al virus sperando di sconfiggerlo, perdiamo di sicuro.

Sul tuo blog, racconti giorno dopo giorno questi momenti di quarantena e nella puntata numero 52 parli del cielo sopra Milano. Com’è il “Cielo Sopra Milano” di questi tempi? 

Generalmente, dopo il telegiornale e qualche film, alla mia età si va a dormire presto e in alcuni momenti, mi sono trovato a guardare il cielo più spesso di come non facessi di solito.

È un cielo chiaramente più limpido e sereno, senza smog. Ho notato che mi rasserenava dopo le tragiche notizie dei TG, dopo tutti quei numeri infiniti. Alla fine, lui sarà ancora lì dopo milioni di anni e ci farà sentire quanto, in fondo, siamo piccoli e ci farà capire che la vita continua, anche se non come prima, con noi o senza di noi.

Quale sarà cambiamento più grande?

Sicuramente il distanziamento, non sono una buona forchetta ma penso alle tavolate in pizzeria o al ristorante, alle spiagge, ai cinema, non sappiamo nulla anche sui mezzi di trasporto.

Sarà importante capire come contrastare il mancato flusso di turisti stranieri questa estate. Come si può reggere in questo modo dal punto di vista imprenditoriale? Nel settore vitivinicolo?

Abbiamo storicamente delle lezioni importanti da cui imparare per sperare di uscirne migliori di prima. Il rilancio dopo la Seconda Guerra Mondiale ne è l’esempio. Non si aveva niente, è stata un’uscita dalla povertà felice e caparbia se pensiamo ai nostri nonni o ai nostri genitori.

Dove sono i confini tra l’Etica professionale e il Diritto di cronaca?

Ho creduto poco alle regole perché negli anni ho visto tutto e il contrario di tutto. Esistono forti principi personali che impari da ragazzo e che sono dentro di te, come il rispetto delle persone.

In TV bisogna stare attenti perché ci sono sempre confini che non andrebbero mai superati. In questo caso, il diritto di cronaca è stato capace di fermarsi al diritto delle persone, cosa che in altri momenti non è successo. Esperienze forti come questa insegnano molto più tanti regolamenti.

Sappiamo che hai un cane, ti comporti da bravo cittadino seguendo le direttive che ci sono state imposte?

In realtà, ho circa un isolato da percorrere per raggiungere la prima zona verde disponibile, tuttavia, cerco di rispettare le regole e non stare in giro per troppo tempo, alla mia età e con le difese immunitarie basse non è solo un gesto di disciplina ma anche un modo di autodifesa.

Come sai, questa rubrica si chiama “Maniche di Camicia”, c’è, quindi, una camicia che ti ricorda un momento particolare della tua vita? Una tua spedizione o qualcosa di confidenziale dei tuoi viaggi?

Forse quelle legate al deserto e al color sabbia, con delle tasche frontali dove mettevo taccuino e penne. Preferisco quelle con i bottoncini e con colletti non troppo particolari. So che non sono particolarmente eleganti, ma negli USA ho iniziato ad apprezzare quelle a maniche corte, sono super comode.

In vacanza, invece, uso molto quelle con il collo coreano che ti lasciano un po’ più libero.

Per ultimo, come ti è venuta l’ispirazione della frase che hai usato per la campagna #sosteniAMOBergamo?

È un invito a non usare troppe parole, poche ma di grande valore, c’è una frase simile anche in friulano. Dietro poche parole ci si nasconde difficilmente.

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Ti ringraziamo per il tempo che ci hai dedicato e il popolo bergamasco ti è riconoscente per questo gesto di grande vicinanza, ti aspettiamo quanto prima nella nostra amata città.

Dopo tanti anni di lavoro penso di essermi mostrato come la persona semplice che sono veramente, che so stare al mio posto e che non amo la politica. Questo penso che contribuisca nel farmi apprezzare e se dovessi aver sbagliato non l’ho mai fatto per protezione o in difesa di qualcuno.

Bergamo è terra di Alpini, ciò crea un certo tipo di fratellanza con la gente della mia terra. 

Per ascoltare l’intera intervista Clicca Qui

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