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Redazione

14/06/2021

Ieri, oggi e domani: l’Università

Intervista a Ferruccio Resta, rettore del Politecnico di Milano e presidente della CRUI.

Nessuna Università italiana è fra le prime 100 del mondo, per prestigio e risonanza. Lo sostiene una ricerca realizzata da QS World University Rankings. Esiste davvero questo divario? Secondo lei quali sono i principali motivi alla base di questa valutazione?

Il divario esiste. E se le classifiche internazionali non premiano il sistema italiano universitario è perché ci sono alcuni indicatori che ci penalizzano. Uno tra tutti è il rapporto studenti/docenti. Più è alto il numero di docenti rispetto a quello degli studenti e più viene valutata positivamente la qualità dell’insegnamento. Il blocco del turnover del 2008 e pochi investimenti dedicati alla docenza hanno portato le università italiane fuori dalle prime 100 posizioni.

Così come la limitata capacità di attrazione di docenti internazionali, dovuta soprattutto a una mancanza di flessibilità nella contrattazione economica permetterebbe una maggiore attrattiva. 

Come può il mondo istituzionale, politico e governativo colmare questo gap con le principali università straniere?

Ci vuole coraggio. Se vogliamo vedere le nostre università tra le prime cento, dovremo rivedere alcune politiche e alcuni approcci. Primo su tutti il sistema concorsuale italiano, decisamente non adeguato ad attrarre docenti internazionali, con i quali si deve avere la forza per negoziare progetti di ricerca, risorse e salari adeguati. 

Secondo tema, gli spazi. Aule studio, aree sportive, laboratori e così via. Lo studente internazionale oggi non cerca solo un campus inteso come offerta formativa di qualità, ma un luogo all’avanguardia che consenta lo svolgimento di attività extra curriculari.

Spazi. Covid-19 e distanze ridotte. Gli studenti possono beneficiare delle lezioni online a distanza?

L’università è un momento di socializzazione, confronto, relazione. Lo studente esce dalle superiori, e da una zona di comfort, per confrontarsi con una società diversa. Sicuramente gli strumenti digitali hanno grandi potenzialità. Penso a compartecipazioni esterne di professionisti, testimonial, protagonisti del mondo del lavoro anche di importanza internazionale. Ma non amo pensare a un’università svuotata dagli studenti.

Quali sono invece le responsabilità degli studenti stessi nel migliorare l’attrattiva dell’università italiana? Pensa che oggi l’Università italiana sia concepita più come una scelta finalizzata al semplice posticipare l’ingresso nel mondo lavorativo? 

Ci può essere una non piena consapevolezza da parte dello studente del reale valore dell’Università. Ma non appena inizia a frequentare i corsi, questa consapevolezza viene acquisita. Consapevolezza delle grandi dinamiche che governano la società. È la formazione, la conoscenza, l’antidoto per vincere le sfide del futuro. 

Qual è il ruolo della comunicazione nel migliorare la percezione del sistema universitario? Quanto può investire l’università in questo settore?

La comunicazione è centrale. E il divario con le altre realtà internazionali è dovuto proprio anche a importanti errori di comunicazione. Ma da qualche anno diverse università hanno intrapreso percorsi e strategie di comunicazione. Interna ed esterna. Ma non è facile, i target sono molteplici: cittadini, imprese, istituzioni, soggetti internazionali. È importante affidarsi a professionisti della comunicazione. Non si può improvvisare.

Com’è cambiato il ruolo dell’Università rispetto al passato? 

L’università cambia con il cambiare della società. L’università è sempre stata lo specchio della società. Anzi, lo specchio della società con qualche anno di anticipo. Perché le grandi trasformazioni culturali e sociali sono nate proprio all’interno delle aule universitarie. Evidentemente ci sono stati anni più impegnati. Ma anche meno, rispetto ad oggi. Quando frequentavo io le lezioni, negli Anni ’80 e ‘90, l’università era vista come semplice luogo di formazione. Oggi c’è invece maggiore consapevolezza. Ho un giudizio estremamente positivo verso la generazione attuale. Sicuramente diversa, con meno capacità di concentrazione, ma con più informazioni, competenze e sensibilità. L’università non è un’entità statica, perché composta di persone, studenti e docenti, che cambiano e con essi anche l’università stessa. L’università ha da sempre due grandi missioni: formazione e ricerca. Ma oggi, rispetto al passato, c’è anche una terza missione: promuovere impatti positivi verso la società civile. L’università di oggi è più responsabile verso le città, il territorio, le imprese, e verso la divulgazione scientifica e culturale.

Quindi il principale scopo alla base di un’iscrizione universitaria oggi non è semplicemente quello di trovare un posto di lavoro? 

Assolutamente no. L’obiettivo è diventare persone consapevoli, individuare le proprie abilità, passioni e attitudini e, infine, diventare cittadini del mondo. 

Tra background culturale e attitudini individuali, quanto concorre l’Università nella formazione completa di un giovane prima del suo ingresso nel mondo del lavoro?

Moltissimo. L’università è il luogo che permette un’analisi critica della propria persona e personalità. Si scopre chi si è davvero e chi si vuole essere.

La meritocrazia è oggi ancora un valore?

Sì. Ma il merito non è qualcosa di oggettivo, uno studente può essere meritevole in una disciplina e meno in un’altra. Merito è sinonimo di passione, di attitudine. La vera sfida è dunque quella di saper individuare il merito, prima ancora di premiarlo. Come? Alzando l’asticella. Sottoponendo gli studenti a obiettivi sempre più sfidanti. E solo così può emerge il merito. Ovviamente si può parlare di meritocrazia solo se e quando tutti hanno le possibilità di partire dallo stesso punto. In termini universitari: diritto e supporto allo studio.

Numero chiuso, minaccia o opportunità?  

Il numero chiuso non è una scelta per individuare la meritocrazia. Ma è una garanzia di qualità. Residenze studentesche, borse di studio nazionali e internazionali. Tutti hanno le stesse opportunità di accesso e supporto allo studio. L’ingresso universitario resta un processo democratico. Ma se posso offrire un’offerta formativa di qualità a 9 persone, è sbagliato reclutarne 10. Il numero chiuso è uno strumento di responsabilità e consapevolezza per garantire percorsi di qualità a tutti i meritevoli, compatibilmente con le possibilità. È dunque un’opportunità, non una minaccia. Anche se i cambiamenti spesso spaventano.

L’Italia è un Paese per giovani? 

Non ancora. Non vengono intercettate le esigenze dei giovani, mancano importanti residenze universitarie, le opportunità lavorative sono scarse, le start up giovanili falliscono senza aiuti, non vengono concessi fido bancari ai neolaureati. Non è un Paese per giovani un Paese in cui i giovani non sono al centro delle proprie politiche

Come vede l’università tra 10 anni?

Sono ottimista. Tra 10 anni le nostre università saranno più internazionali e più innovative. Assisteremo a diversi cambiamenti, molti dei quali dovuti all’ingresso di nuovi competitor digitali, che stravolgeranno il mondo della formazione.

La vera sfida sarà quella di individuare un approccio in cui la vita non sia più divisa in due dinamiche, in due momenti separati, studio e lavoro. Ma un continuo dentro e fuori. I cambiamenti tecnologici e sociali oggi sono molto rapidi e avremo bisogno di continui recuperi di apprendimento. Una sfida difficile ma straordinaria.

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