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Redazione

04/06/2020

Maniche di Camicia – Angelo Di Summa

Intervista ad Angelo Di Summa, scrittore, giornalista ed esperto di comunicazione.

L’ospite odierno di “Maniche di Camicia” è Angelo Di Summa, giornalista, scrittore ed esperto di comunicazione.

Angelo, da pugliese DOC quale sei, come va il lockdown nella tua regione?

Non abbiamo dati allarmanti come quelli di Lombardia, Piemonte o Veneto, tuttavia, stiamo rispettando ugualmente il lockdown. Vista la situazione, viviamo con un po’ più di ottimismo ma restiamo in casa e rispettiamo le norme.

In molti hanno sostenuto che questa situazione sia dovuta ad un governo delle autorità sanitarie più che ad un governo delle autorità politiche, qual è il tuo parere a riguardo? Troppo allarmismo o sana prudenza?

In questo caso, faccio alcuni riferimenti al mio passato politico ed amministrativo. Sono stato Sindaco di Fasano ed è capitato spesso di chiedermi se fossi stato in grado di gestire una situazione del genere al posto loro. Ho concluso, senza mezzi termini, che non ne sarei stato capace.

Come fa ad operare un’autorità amministrativa o pubblica di fronte ad una realtà pressoché sconosciuta? La verità è che il Covid, a livello di conoscenza, ci ha colti alla sprovvista. Come si fa a non mettersi nelle mani delle autorità scientifiche? Non riesco a far torto al governo per aver operato in quel modo.

Mi rendo conto che la volontà politica, come logica di mediazione, deve tener conto di tutte le componenti in gioco. Qui, però, parliamo di una fattispecie esclusivamente sanitaria e credo che, in quella situazione, avrei fatto la stessa cosa, cercando una sponda nella scienza. È, a tutti gli effetti, una sfida per la politica, legata fortemente al momento in cui stiamo vivendo caratterizzato dalla diffidenza nella scienza.

Questa tendenza culturale, imposta anche dai social, ha dato diritto di parola a tutti, producendo quel fenomeno che porta ogni persona ad essere uguale, dal punto di vista culturale, all’esperto o allo scienziato.

Questo introduce un concetto fondamentale che è quello della credibilità delle fonti. Quanto è importante il problema della comunicazione in questa fase?

Si crede al contenuto purché il contenuto stesso corrisponda al proprio punto di vista, è il senso critico che è venuto meno. La cultura dei social media si è fondata sul dare ascolto e rendere scientifico ciò che in realtà non lo era. Anzi, era la scienza che veniva vista come parte di un grande complotto mondiale che tendeva a nascondere la verità piuttosto che svelarla.

La comunicazione è iniziata seguendo i vecchi schemi, quindi non è stata molto efficace. Il problema è che ora la comunicazione è prevalentemente emotiva. Anche l’atteggiamento della gente è stato contraddittorio ad inizio pandemia. Ciò che ha fatto cambiar loro consapevolezza, di fatto, è stata l’immagine della lunga fila di camion dell’esercito carichi di bare a Bergamo. Quindi, se dovessimo fare uno studio sulla comunicazione, dovremmo partire da questa immagine incisiva, forte ed involontaria che è stata un momento di coinvolgimento eccezionale.

Indubbiamente, è cambiata la socialità in questa quarantena. Ci sono state delle rivoluzioni delle quali non siamo ancora consapevoli?

Secondo me, sono molte le cose di cui non siamo ancora consapevoli. Il giorno in cui tutto finirà dovremo riscrivere un po’ di manuali. Questo evento ci ha allontanati ma, al contempo, uniti. Il fatto stesso che si tratti di una pandemia mondiale ci ha resi più uniti su scala globale.

Gli Stati europei hanno condannato l’Italia come untore a livello continentale. Non trovi sia stata la prima delle grandi fratture tra gli stessi Stati membri dell’Unione Europea?

A prescindere, non credo ci sia stata molta unione negli ultimi anni. C’è sempre relatività nelle valutazioni politiche perché sono un territorio molto scivoloso. Ma cosa resterà dopo? Siamo in una nuova era che ha cambiato una serie di luoghi comuni, un capovolgimento di alleanze a livello strategico.

Questo lockdown lascerà tracce nell’animo della gente, sulle visioni, sulle valutazioni e sul modo di concepire la realtà. Paradossalmente, se dovessimo dare una data di fine della civiltà dei consumi, sarebbe proprio quella del lockdown. In questa situazione di quasi solitudine, all’interno della quale ciascuno di noi ha vissuto, sono cambiate parecchie dinamiche, come la percezione del tempo e dello spazio in cui muoverci. L’uomo ha capito quanto prima il tempo fosse una dimensione meramente di consumo mentre oggi non è così. La stessa natura era in una dimensione di consumo e si spera che non lo sia più. I sentimenti e le relazioni sociali sono valori che dobbiamo preservare e non più consumare.

L’Italia sta dando un grandissimo esempio di Responsabilità Sociale da parte delle imprese ed è l’elemento più forte che emerge del nostro capitalismo. Infatti, nessuno dei grandi imprenditori si è tirato indietro nel momento in cui c’era da dare il proprio contributo. Come interpreti queste scelte?

Avendo già un capitalismo maturo, l’Italia è vittima della grande finanza mondiale. La natura del nostro capitalismo ha favorito la missione sociale ed umanitaria. Il problema è un altro: come ne usciremo?

La sofferenza permane, alla fine di questa epidemia ci troveremo un milione di nuovi poveri ed è un problema anche per il capitalismo. Si parla, in alcuni settori merceologici, di circa il 25% di aziende che rischiano di non riaprire, pensiamo alla crisi del turismo che impatterà fortemente sull’economia di molte regioni marittime.

Oggi, il tema centrale è quello delle riaperture, con la necessaria prudenza e con le dovute garanzie. Sembra che ci sia l’esigenza, anche da parte di numerosi imprenditori, di ritornare alla situazione di prima. In realtà, sappiamo che non potrà mai esserci un ritorno alla normalità o alla situazione di pre-epidemia.

Qualcosa nel nostro sistema economico dovrà cambiare, incontreremo la crisi della globalizzazione che non sarà mai come prima.

Angelo, cosa sogna il tuo ragazzo?

Il mio ragazzo sogna una società che possa essere più giusta, eguale, che non conosca differenze o che guardi all’uomo. Forse, sogna un nuovo umanesimo, una società che sposi la causa dell’uomo.

Come disse Giovanni Paolo II, quando concesse udienza ai rotariani di tutto il mondo: “Grazie per aver sposato la causa dell’uomo”. Ecco quello è il sogno del mio ragazzo!

Ritornando alla situazione attuale, da dove ripartiremo?

Questa è una domanda molto complicata. È difficile immaginare una rottura, ripartiremo sicuramente perché credo che ci sia la buona volontà di farlo, non vedo compromessi da questo punto di vista. La parola ripartire non mi piace molto perché sembra voler chiudere con l’esperienza precedente, invece, la vita è un continuo progresso, ogni giorno di va sempre più avanti.

Ripartiremo da noi stessi e dal recuperare il senso della storia. Se si ha il senso del passato e si capisce, allora si può avere il senso del futuro.

Qual è la prima cosa che farai una volta cessato il lockdown?

Bisogna vedere quanto si possa fare una volta sbloccato il tutto. Ad oggi prevedono una limitazione agli spostamenti intra-regionali. Tralasciando questo, la prima cosa che farò sarà sicuramente salire a Milano e riabbracciare i miei figli.

Domanda di rito Angelo: la tua camicia preferita?

Io non ho una camicia preferita, seguo l’umore della giornata. Tuttavia, ho una camicia che non ho mai usato, diventata una sorta di reliquia, che comprai a Chicago. La presi per darmi un po’ le arie, ma è solo il ricordo del viaggio in cui, per la prima volta, ebbi la fortuna di osservare da vicino le rocce lunari.

Per ascoltare l’intera intervista Clicca Qui

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