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Redazione

21/05/2020

Maniche di Camicia – Simone Schiavetti

intervista a Simone Schiavetti, Managing Director Lyreco Italia

Ospite della quinta puntata di “Maniche di Camicia” è Simone Schiavetti, Managing Director di Lyreco Italia, leader europeo nella distribuzione di prodotti e soluzioni per l’ambiente di lavoro, presente in 42 Paesi del mondo.

Simone, come va in questo periodo di lockdown?

È un periodo complesso, la classica battaglia tra emozioni e ragione.

Le emozioni sono forti perché le scene che stiamo vivendo da qualche settimana lasciano un solco indescrivibile, invece, la ragione fatica ad accettare che uno Stato come il nostro possa entrare in crisi perché non ha numeri per ospedalizzare le persone malate.

Essendo un cittadino, cerco di informarmi il più possibile, devo capire dove vivo e temo che tutto ciò sia frutto dei numerosi tagli alla sanità degli ultimi anni. È inaccettabile, abbiamo tutti lo stesso diritto di poter essere assistiti nel miglior modo possibile.

Molti dicono che, di fatto, il governo del Paese sia in mano all’autorità sanitaria piuttosto che a quella politica. Cosa pensi di questa situazione? 

Penso che medici e scienziati stiano facendo bene il loro mestiere perché hanno come priorità assoluta la salute delle persone. Una società civile si deve basare su quattro pilastri fondamentali: sanità, istruzione, lavoro e solidarietà, tuttavia, la scelta politica di un massivo lockdown sta mettendo in crisi l’economia e, ad oggi, non vedo sul piatto soldi che ci permettano di ripartire velocemente. Fortunatamente siamo in mano alle persone, siamo il Paese della solidarietà. Non ci tiriamo mai indietro e il segnale delle donazioni alla Protezione Civile dimostra quanto il popolo italiano sia responsabile e generoso, questo credo che i politici debbano meritarselo.

Come manager di una multinazionale, come stai vivendo questo momento sia dal punto di vista della concorrenza interna al paese sia dal punto di vista internazionale con i paesi esteri che non hanno subito un forte lockdown come il nostro?

Dal punto di vista italiano, i decreti che si sono susseguiti non hanno facilitato il lavoro per realtà come la nostra, siamo rimasti aperti vendendo solo i prodotti che potevamo vendere. Non essendo noi commercio al dettaglio molte categorie sono rimaste escluse. Questo, di fatto, ha portato un dimezzamento dei fatturati.

Invece, a livello internazionale, la nostra azienda ha ricevuto molta solidarietà, riscuotendo svariati aiuti.

Ci sono comportamenti diversi da paese a paese e, in Italia, c’è stata la situazione più rigida e penetrante. Da uomo e da manager non è stato semplice digerire tutto ciò, tuttavia, ho la fortuna di lavorare con persone incredibili, compagni di viaggio capaci, competenti, passionali ed emozionali. Questo viaggio è una tempesta e tenere la rotta dritta è assai complesso.

Com’è stato mettere tutti i tuoi dipendenti in smartworking da un giorno all’altro? Com’è stato, invece, vedere fuori dalla finestra e notare come tutto il mondo si fosse fermato?

Sono un uomo di emozioni e questa immagine mi tocca profondamente. Dal 21 febbraio all’8 marzo ho visto il progressivo diminuire del traffico dalle finestre della nostra azienda che danno direttamente sull’Autostrada A4. Nel giro di nove giorni, grazio al lavoro e alla comprensione di tutti, siamo riusciti a mettere fino all’ultima persona, dei circa 180 dipendenti di Lyreco, in smartworking.

Sono uscito dall’azienda per ultimo e conservo un video del momento per ricordarmi per sempre quella sensazione, perché è stata una situazione che non avrei mai pensato di poter affrontare.

È stata dura, siamo passati dal sorriso e dall’entusiasmo, alla paura, all’emozione e alla preoccupazione. Non è semplice, sono convinto che avremo ancora tre, quattro mesi di difficoltà per poi cominciare ad avere un ritorno alla quasi normalità. È un percorso duro che nessuno si aspettava di affrontare e che forse si sarebbe dovuto affrontare in maniera diversa, con cluster diversi e un lockdown diverso.

Riguardo il  tema della socialità, come pensi cambierà tutto ciò all’interno dell’azienda considerando anche l’età media molto giovane dei tuoi dipendenti?

Spero che non cambi, almeno non nel breve periodo, poiché dobbiamo attenerci alle norme che ci hanno chiesto di rispettare. Nel medio periodo, invece, spero si torni alla normalità e che non ci siano strascichi di panico, di paura o dell’attenzione morbosa nell’evitare l’aggregazione, rischieremmo di perdere un elemento fondamentale che è la contaminazione sociale, d’entusiasmo e di idee, quel tipo di contaminazione che fa bene alle aziende e alle persone. Non siamo un’azienda gerarchica e istituzionale, siamo una realtà giovane e friendly dove cerchiamo contributi da ognuno dei dipendenti e se ciò venisse a mancare, temerei si possa perdere uno dei valori principali della nostra azienda.

Oggi parlavo con i responsabili dei vari reparti per capire come potessimo rientrare in maniera graduale: è semplice, dobbiamo avere rispetto del panico e della paura dei nostri dipendenti che saranno messi nella miglior condizione possibile per rientrare in modo sicuro e rispettoso delle norme.

In un momento di grande cambiamento, sia di mobilità sia di socialità, si impongono nuovi codici di relazione. Come vedi il futuro della leadership nei sistemi organizzati?

Questa esperienza, nel mio modo di vedere tutto come un bicchiere sempre mezzo pieno, ha dato un’accelerazione ad un nuovo modello organizzativo, ad un modo di lavorare smart e digitale. Le scelte devono essere improntate sulla fiducia, ancora più di prima e non avere quel controllo visivo ha portato tutti noi ad averne maggiormente, ad avere spazi di riunione diversi, più concentrati, ha accelerato le decisioni. Trovo estremamente positivo il fatto che alcuni confronti duraturi siano diventati allineamenti più forti. Per assurdo, la lontananza ha allineato più della vicinanza.

Oggi lo smartworking forzato porta il rischio di non avere una condivisione a 360 gradi delle tematiche, ho bisogno del contributo di tutti e il manager moderno ha possibilità, in questo modo, di aumentare le sue capacità, dall’altro canto, invece, quello vecchio si è trovato di fronte una porta da sfondare.

Come ti vedresti ad essere Presidente del Consiglio per un giorno?

Non è un mestiere facile, ogni volta che si è a capo di qualcosa prendere decisioni giuste non è semplice. Essere giudicati è ancora più semplice, perché chi sta all’opposizione ha la critica facile ma non c’è mai la contro prova. Sicuramente avrei comunicato meglio, sono mancate chiarezza e programmazione, ancora oggi non sappiamo cosa accadrà dopo maggio. Le aziende non si muovono dalla mattina alla sera. Dall’8 marzo in poi, noi e tutte le altre aziende, abbiamo passato il sabato e la domenica cercando di capire dal Presidente del Consiglio se dovessimo aprire o meno.

Grazie ad una più forte e concreta comunicazione si sarebbe gestito meglio un momento di panico come questo, una pandemia non è uno scherzo.

Inoltre, non c’è attenzione alle PMI. Ho la fortuna di lavorare in una multinazionale, ma se fossi un imprenditore della piccola o media impresa sarei molto arrabbiato. Non è sostenibile avere due mesi di zero fatturato con tutti i pagamenti da fare, così come non è tollerabile non avere chiarezza sugli aiuti che lo Stato dice di aver messo a disposizione.

In conclusione, da Presidente avrei lavorato in questo modo: una migliore comunicazione verso i cittadini, più chiarezza sulla programmazione dei rientri e più concretezza alle azioni rivolte alle aziende della PMI. Serve un programma di detassazione per i dipendenti e una riduzione del costo del lavoro, che sono insostenibili.

In termini meritocratici, quanto conta la competenza nel nostro Paese tenendo conto che è sempre stata poco considerata dai Paesi esteri? Quindi, Europa sì o Europa no?

La competenza conta tantissimo. Faccio un riferimento personale: con i dovuti rispetti e senza retorica. Come direttore generale non sono competente su tutto, sono colui che deve prendere le decisioni e  ha la responsabilità delle scelte e, per fare questo, devo essere attorniato da persone estremamente competenti. Fortunatamente posso affermare di esserlo e le decisioni che prendo sono frutto della loro preparazione e del rischio che fa parte del mio ruolo.

In questo momento, quindi, la competenza è fondamentale in azienda e, maggiormente, nello Stato. Ad oggi, non so se questa ci sia davvero. La competenza non è un pilastro che si immette in una casa, sta lì e non si muove più. Le competenze evolvono, perché i lavori evolvono e questa pandemia ha messo di fronte ognuno noi a delle nuove competenze necessarie, per cui bisogna gestire le aziende e le persone in maniera diversa. Gestire una persona a distanza o in ufficio è totalmente diverso, manca la fisicità e deve essere sostituita da altro, una presenza diversa, con una consulenza diversa.

Tutte queste capacità sono fondamentali e noi, come azienda, investiamo per far sì che i nostri dipendenti possano aggiornarsi costantemente, altrimenti non riusciremmo a cambiare. Oggi, il tema del change-management, il tema dell’evoluzione, il tema della trasformazione, si attuano partendo dal cambio di cultura, bisogna cambiare la testa delle persone che parte dall’aggiornamento delle competenze.

Europa sì, Europa no? Europa sì, ma non questa Europa. Manca l’unità, dimostrata da come ci hanno trattato ad inizio pandemia o come ci siano dei lockdown diversi da Paese a Paese. Non va bene, se siamo Europa servono regole identiche per tutti. Per esempio, non trovo corretta la posizione dell’Olanda contro gli Eurobond, perché? Dov’è l’Europa in questo caso? Ci deve essere unità di intenti, ci vuole concretezza, non basta soltanto una carta costituzionale.

Come si è capito, il tema della concretezza, per me, è fondamentale. Nelle aziende e in tutto ciò che viene governato, di fronte alle promesse serve essere consistenti altrimenti sono solo proclami.

Il nostro Paese è particolarmente soffocato dalla burocrazia, come ne usciremo secondo te?

Speriamo grazie al sistema delle imprese e dal cittadino, perché credo fortemente che le aziende abbiano funzione sociale, accelerazione di cambiamento, che parte sempre dal basso, ed è l’economia reale che deve cambiare, quella che parte dal cittadino. Il patriottismo che è emerso durante l’emergenza spero rimanga anche dopo.

Le imprese devono fare sistema, positivo e di confronto. Per esempio, con alcuni dei nostri concorrenti, prima della pandemia, ci si sentiva saltuariamente, invece, in questi momenti ci siamo confrontati parecchio e abbiamo capito come lavorare per sviluppare nuove idee di lavoro. Ci dobbiamo portare dietro questa esperienza come bagaglio culturale, perché da ogni criticità deriva un’opportunità.

Cosa stai raccontando ai tuoi figli? Cosa pensi che abbiano capito di questa esperienza? Cosa rimarrà dentro loro alla fine di tutto ciò?

Ho due figli, una femmina di undici anni e un maschio di quasi sei. In questo momento di smartworking forzato, in quantità passo più tempo con loro per la presenza in casa ma non con la stessa qualità.

Mi sto domandando spesso cosa si porteranno a casa. Mia figlia sicuramente l’aspetto positivo dell’aver imparato velocemente ad usare la tecnologia e dell’aver capito il valore della scuola come luogo fisico di unione. Ha l’unica sofferenza di non poter vivere il suo ultimo anno delle elementari normalmente.

Il più piccolo, invece, è un bel dilemma. Vive le giornate con una noia mortale, mentre la sera ha un’energia così incredibile che distrugge il sottoscritto che deve tenerlo sotto controllo.

Probabilmente, dovranno gestire il panico della pandemia, ma potremo avere risposte soltanto tra tre o quattro anni.

Che cosa ti ha stupito di come si relazionano i ragazzi tra di loro grazie alla tecnologia?

Mi ha sorpreso la loro facilità di accesso ai device ed è, contemporaneamente, qualcosa che mi fa anche un po’ paura. Da genitore, mi rendo conto che la poca qualità di momenti che stiamo dedicando, in questa emergenza, ai nostri figli e che porta a delegare molto allo strumento digitale l’occupare il tempo.

A livello aziendale avete accelerato molto sulla Corporate Social Responsibility (CSR) e sul tema della sostenibilità ambientale. Quanto è importante oggi capire come preservare l’ambiente in tutte le dinamiche, anche in quelle aziendali? Come possiamo trasferire ciò alle nuove generazioni?

È fondamentale pensare all’ambiente e al futuro del nostro Pianeta. Credo che questa pandemia ci abbia insegnato un nuovo modo di vivere sotto questo aspetto. Oggi, il pensare come impresa slegato al tema della sostenibilità ambientale non credo sia più accettabile, abbiamo il dovere di garantire a questo pianeta una sopravvivenza che sia per i nostri figli o per le generazioni future. Sarebbe un errore clamoroso, non avere un occhio di attenzione prioritario in tutte le nostre scelte sul tema ambientale.

Spero che da questo lockdown se ne esca con la consapevolezza, anche da parte dello Stato, di riammodernare le aziende e mettere a disposizione fondi per rinascere in maniera diversa, di reinventarsi. Non è più pensabile continuare ad avere un consumo del territorio come quello di oggi.

Come Lyreco ci siamo messi in testa un obiettivo importante, entro il 2025 vogliamo essere la prima azienda del nostro settore ad avere una forte base di prodotti ad economia circolare, ossia che abbiano cinque cicli di vita prima di essere smaltiti. Tutto ciò che riguarda acquisti, servizi e scelte personali deve avere un link fondamentale se non prioritario con la sostenibilità.

Tutto ciò ci collega alla CSR che ha due dimensioni prevalenti, quella locale e quella globale. Quali saranno gli effetti su questa globalizzazione spinta?

Ridimensionata, senza alcun dubbio. Penso che l’Italia possa trarre benefici perché abbiamo molte eccellenze locali che stavano soffrendo a causa della globalizzazione e che ora possono riemergere in maniera più forte, intelligente e sostenibile.

Come sistema Paese dobbiamo supportarli, dobbiamo trasformare i buoni propositi in atti concreti, dare valore nuovamente al Made in Italy.

Lyreco, nonostante sia una multinazionale estera, ci ha permesso di crescere in modo autonomo e ha capito anni fa che l’italianità è un valore e che l’azione locale è fondamentale.

Spingerete sull’e-commerce a scapito della rete vendita?

Spingeremo sull’e-commerce, ma non a scapito della rete vendita. Il nostro focus e la nostra priorità sono le persone, patrimonio fondamentale. L’e-commerce è uno strumento, un aiuto, qualcosa a cui mi rivolgo e su cui comprare qualcosa che conosco. Se ho bisogno di consulenza, di informazioni puntuali o un problem-solver allora ho bisogno della persona.

La persona oggi è al centro di ogni nostra scelta, puntare sull’e-commerce permette solo una facilità di acquisto di prodotti che non hanno bisogno di una consulenza tecnica. Il venditore rimane sempre fondamentale al quale non rinunciamo.

Abbiamo una domanda a cui non puoi sottrarti, qual è la tua camicia preferita?

La mia camicia preferita è bianca, con il colletto alla francese e le maniche sempre rimboccate. Avere le mani in pasta, per un manager, è fondamentale. L’esempio del fare vale di più del pensare. Un modo anche per me per far capire ai miei collaboratori l’atteggiamento: AGIAMO.

Come sarà Simone Schiavetti tra cinque anni?

Ho ancora tanto da imparare e da dare. Mi piace contribuire e sbagliare, perché solo in questo modo si può crescere. Ho un obiettivo in mente che ho condiviso con l’azienda entro il 2025 e farò di tutto per perseguirlo.

Per ascoltare l’intera intervista Clicca Qui

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