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Redazione

04/06/2020

Maniche di Camicia – Christiana Ruggeri

Intervista a Christiana Ruggeri, giornalista del TG2 e scrittrice.

L’ospite di oggi in “Maniche di Camicia” è Christiana Ruggeri, giornalista, scrittrice ed uno dei volti di riferimento del TG2.

Christiana come stai? Che sensazione avverti in questo ultimo weekend di lockdown alla vigilia del “Liberi Tutti”?

Grazie dell’invito e un saluto a tutti coloro che seguono questa interessantissima rubrica.

Sto bene, posso dire di essere stata fortunata. I punti interrogativi sono tanti, senza polemiche ma, tra paura e indecisione, abbiamo passato dei mesi complicati per tutti ed il futuro non sarà così leggero. Dovremo mettercela tutta, buona volontà, seguire le regole, ascoltare quello che sta accadendo.

Siamo ancora in emergenza? Quanto può durare un evento per essere chiamato tale?

Questa, oltre ad essere un’emergenza, è un punto di svolta storico solo dal punto di vista clinico. La pandemia che ci ha trascinati nel panico e nella paura ci ha costretti a fare dei balzi in avanti impressionanti in fatto di preparazione e risposta all’emergenza, abbiamo visto i sanitari lavorare allo stremo e la politica attivarsi per dare soluzioni ai cittadini.

Credo che, per persone come noi che lavorano e vivono di comunicazione, si sia assodato il concetto di quanto sia importante fare una comunicazione corretta perché, di fatto, siamo letteralmente invasi da fake news o da virologi fai-da-te. Questa emergenza ci ha costretti a riflettere e ad agire in termini rapidi. Le risposte arriveranno più avanti perché sarà ancora una lunga battaglia e noi dovremo farci trovare pronti.

Come giornalista sei stata in tutto il Mondo, cosa significa essere al fronte? 

Beh, la risposta è semplice: c’è solo quello, non c’è la famiglia, non ci sei neanche tu. C’è quello che stai raccontando e lo devi raccontare con oggettività.

Io dico sempre: l’obiettività non esiste, esiste l’onestà. Quando fai qualcosa devi essere così impeccabile da miscelare bene l’anima con il cervello, allora, a quel punto, racconti la notizia senza esserne crivellato. Vedi situazioni dolorose, complicate e con le quali vorresti interagire ma non puoi farlo, quindi, essere al fronte è un’esperienza incredibile.

Questo Covid-19 ci ha permesso di entrare in corsia, ci ha fatto capire empaticamente quello che può provare un medico mentre affronta un’emergenza più grande di lui e di noi; mi sono permessa, quindi, di condividere questo applauso iniziale ai dottori.

Ci siamo ricordati che serviamo tutti, che non c’è uno più importante dell’altro, che siamo tutti interconnessi e che dipendiamo l’uno dall’altro, ma anche che i comportamenti irrispettosi possono nuocere alla salute di tutti.

In fondo, questa Italia, anche grazie al terzo settore, agli imprenditori, alle associazioni, ci ha ricordato di avere un grande cuore.

Io mi accorgo di quanto sia orgogliosamente italiana quando sono all’estero. In questo periodo, tutta la popolazione ha dimostrato una coesione e una generosità straordinarie. Senza scivolare nella retorica perché stonerebbe, penso che ognuno di noi, nel suo piccolo, abbia fatto qualcosa, il rispetto e solidarietà vanno a braccetto in questo senso.

Questo orgoglio è stato colpito, però, da un primo approccio critico dei paesi europei che hanno additato l’Italia e gli italiani come untori. Come ti sei sentita?

Molto male, hanno usato una vera e propria fake news montata ad arte per etichettarci. L’Italia è un grande Paese, con imprenditori e cittadini straordinari. Dal governo mi sarei aspettata una presa di posizione netta a riguardo. Se vogliamo un’Europa unita, allora che abbia maggior rispetto nei nostri confronti. Anche le scuse non sono state all’altezza di ciò che pensavo. Abbiamo delle virtù e dovremmo essere i primi ad accorgercene.

L’Europa ce la farà? Qual è il suo valore aggiunto?

Dico di sì, un po’ ammaccata ma sì. Il valore aggiunto dell’Europa è che saremmo, con le dovute premesse, un continente al pari di Cina, Russia e Usa. Purtroppo, siamo schiavi di cliché, di posizioni arroccate e vecchie. Ci sono nuovi ragazzi che tentano di emergere, c’è voglia di nuovo e di rispetto. Il Vecchio Continente potrebbe evolversi in un vecchio Continente 2.0.

La dimensione virtuale sta prendendo il sopravvento. Quanto incide la democratizzazione di questa dimensione in tutto ciò? Come bisognerebbe agire in modo che si sia capaci di valutare l’attendibilità del contenuto?

Questo è il lato negativo della velocizzazione dell’informazione. Anche noi giornalisti avevamo un iter di controllo della fonte che necessitava di spazio e di tempo predefinito. Ora c’è la corsa a dare per primi la notizia, il primo che arriva non vince nulla, quindi, è meglio verificare prima la solidità della fonte.

Detesto le fake news, sono orrende, danno fastidio e sono confezionate in modo talmente certosino che, giocando sulla paura e sulle emozioni della gente, restano impresse nella loro memoria. Fortunatamente, c’è un lato positivo, ci sono molte persone che hanno capito questo meccanismo, segnalandole. Più il web aumenterà la sua potenza di fuoco, più ci saranno fake news, più ci saranno persone che le respingeranno.

Come si fa ad aiutare ai ragazzi ad accedere correttamente al mondo dei social network?

Loro sono attratti dai nuovi media, dai social classici a quelli nuovi come Tik-Tok. Per una questione di privacy e riservatezza, dico sempre che è il dark web a rappresentare l’area più pericolosa della rete.

I bambini non vanno spaventati, ma accompagnati in un percorso di conoscenza adeguato e consapevole che permetta loro di capire il motivo per cui alcune attività si possano fare e altre no. Perciò, bisogna avere sempre tempo e calma in modo che si possa stabilire con loro un rapporto confidenziale e rispettoso.

Anche in ambito scolastico c’è stata un’accelerazione della didattica, probabilmente, uno degli aspetti positivi che ci porteremo da questa emergenza. Da qui, nasce il problema del digital-divide. Qual è il tuo parere in merito?

È un problema che ho riscontrato con alcuni dei miei piccoli lettori di tutta Italia, dove si percepisce il bisogno di quanto una connessione Wi-Fi sia fondamentale per studiare o lavorare e di come, inoltre, serva una rete adeguata nel nostro Paese.

Prima di dare la colpa ai professori, c’è da ovviare ad un problema più complesso, ossia, quello di coprire l’intero paese con i mezzi giusti per far sì che i ragazzi abbiano lo stesso diritto e gli stessi mezzi per studiare. Lo studio è un diritto inalienabile di tutti i bambini nel nostro Paese e sentire che l’Italia ha questo tipo di problemi, vuol dire che c’è uno Stato e ci sono delle regioni che non stanno svolgendo, in modo adeguato, il loro lavoro, negando il diritto all’istruzione. Bisogna che tutte le famiglie italiane, nel loro piccolo, abbiano lo stesso diritto ad una scolarizzazione adeguata.

Quando si tornerà sui banchi, la digitalizzazione sarà utile perché permetterà l’alternarsi della presenza fisica con il digitale.

 Nel tuo ultimo libro “Greta e il pianeta da salvare” hai creato un’occasione digitale green attraverso una squadra di piccoli supereroi. Ci racconti di questa esperienza e delle attenzioni intorno a questa tua pubblicazione?

Il Coronavirus non ci ha fermati. Con i miei editori abbiamo deciso di rimpicciolire Greta Thunberg, ragazzina diventata famosa per la sua battaglia pro-ambiente, facendola diventare un’attivista della scuola primaria e abbiamo creato una squadra di bambini pronti a salvare il pianeta Terra dalla propria cameretta, da qui il nome Earth Book Team. Questo per sensibilizzare tutti i bambini nell’agire sulle piccole cose quotidiane, sul trattare bene il nostro pianeta dalla propria casa.

Grazie all’apporto degli insegnanti, abbiamo piantato numerosi alberi in tutta Italia, in relazione alla biodiversità del territorio. Ogni albero ha un nome, un’identità e un’essenza. Purtroppo, a causa del Covid quest’anno non si potrà tenere l’annuale incontro con i bambini durante l’Earth Day a Roma, ma abbiamo deciso di continuare online ricevendo comunque numerosi testi da parte loro.

Questo libro mi ha dato una grande soddisfazione, mi ha fatto divertire come non mai e vedere questi bambini così sensibili ed attenti su questo tema mi ha reso parecchio orgogliosa.

In tema di ambiente, questo lockdown ha reso nuovamente il nostro cielo più terso e l’aria più pura. Tu sei vicepresidente di GreenAccord, cosa fai tramite la tua associazione per sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi di sostenibilità ambientale?

Siamo un’associazione di cui vado molto fiera, tutti con un unico fine: la salvaguardia dell’ambiente. Stiamo cercando di fare un ulteriore salto di qualità: ci siamo impegnati ad essere più presenti per parlare di ambiente in modo corretto.

Si è troppo distratti su questo tema. Ci sono ancora molti rifiuti per terra, come guanti in lattice o mascherine, tutto materiale non riciclabile. Bisogna utilizzarli con criterio, ognuno di noi può fare qualcosa per salvaguardare l’ambiente.

Bisogna distinguere tra tragedia e maleducazione che fa danni ed uccide, lascia impronte indissolubili nella memoria. L’ambiente è nostro, prendiamocene cura.

Di cosa parlerà il tuo nuovo libro: Green Girls?

Racconto le storie di ragazze che, prima e dopo di Greta, stanno cambiando l’ambiente e lottano per la sua salvaguardia. Tutto ciò si sviluppa attraverso i cinque continenti dalle Filippine, con una ragazza sopravvissuta al tifone Jolanda, al Brasile, dove racconto la storia di un’indigena amazzonica, all’Australia, con una maori bianca.

Sono tutti profili di ragazze straordinarie che nel loro paese stanno facendo parlare di sé stesse e del problema. Quindi, ho come obiettivo quello di trasformarle in icone pop-green. Vorrei che tutti i nostri ragazzi le conoscessero e prendessero spunti da loro.

Hai parlato anche di violenze, in particolare quella domestica che in Italia raggiunge percentuali preoccupanti. Sappiamo che ne hai vissuta una anche tu, come sei riuscita a superare tutto ciò?

La mia bambina mi ha salvato la vita, perché se non avesse gridato da dentro la macchina non sarei riuscita a schivare la prima coltellata alle spalle. È una situazione che non si supera, ci si convive perché mai avrei potuto immaginare che una persona che non conoscessi avrebbe tentato di tagliare la gola a me e a lei.

Nessuno può essere preparato ad una ferocia del genere, quella mattina è entrata nelle nostre vite e le ha cambiate. Non è riuscito a farci odiare né lui né il mondo perché penso che il grande insegnamento che mi rimane sia quello di essermi affidata alle forze dell’ordine e l’aver denunciato.

Per quanto riguarda mia figlia non credo che possa dimenticarsi dell’accaduto, ha più paura per me ma sono sincera nel dire che, nella follia di quel gesto, nel terrore e nella paura, sono stata aiutata anche dai miei genitori e dalla fede. Non abbiate paura di denunciare, amore e violenza sono inconciliabili, dove c’è violenza l’amore non esiste, dove c’è violenza non può esistere rispetto, dove c’è violenza non c’è altro da fare se non rivolgerci a chi può aiutarci.

Siamo in un momento di vera e propria emergenza sociale. Secondo te, in questo momento, di che cosa hanno bisogno gli italiani quando si ritornerà alla normalità?

C’è bisogno di ripartire, di aiuti pratici e non di pacche sulle spalle.

C’è bisogno di soldi e lo dice chi ha la fortuna di avere il lavoro dei propri sogni e uno stipendio sicuro. Purtroppo, ci sono molti italiani che hanno un futuro incerto. Serve un piano che permetta di poter mangiare, curarsi e non perdere mai la dignità. In un Paese straordinario come in nostro, c’è bisogno di tutelare gli italiani e mi auguro che la politica agisca in maniera trasversale. Ho paura, invece, della fretta, serve rigore ma capisco che ci sia bisogno di ripartire, sperando che la scienza aiuti in tutto ciò.

C’è bisogno di un criterio condiviso, con la rabbia non si può agire lucidamente.

Come operatori della comunicazione cosa possiamo fare?

Sono orgogliosa di essere una giornalista del TG2, abbiamo inviati ovunque che raccontano la realtà dalle zone rosse, raccontano il dolore, la rabbia, la paura e i dati di ascolto ci stanno dando ragione.

La gente vuole sapere, vuole partecipare ma è fragile quindi chi ha buona reputazione di comunicatore continua a lavorare perché la comunicazione è fondamentale, ma deve essere corretta.

Come sai questa rubrica si chiama “Maniche di Camicia”. Tu ne hai una preferita?

Si ne ho una preferita anche se mia figlia la detesta. È bianca a righe blu con fiori laterali.

Cosa si vede e speri di vedere dalla finestra della tua camera?

Tanto verde, tanto rispetto per l’ambiente e la possibilità di far parlare i giovanissimi. Questa nuova generazione ha il coraggio della giovinezza che è aver voglia dire la propria opinione ed il fatto che ce lo ricordino quotidianamente è straordinario.

Per ascoltare l’intera intervista Clicca Qui

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